“La vera libertà è un sogno…
per questo il sogno è una liberazione”
“Integrazione, integralismo e nudo integrale
Racconti al peperoncino dal mondo globale”
Recensione della Prof.ssa Maria Elisa Redaelli
San Benedetto del Tronto (AP), 6 marzo 2007
“ASSALAMU ALAIKAOM” (Pace su di voi), “WALAIKOM ALSALAM” (Altrettanto a voi) sono l’antefatto, la prosecuzione e il congedo che lo scrittore non si stanca di ricordare ai suoi lettori lungo la narrazione di quei fatti della sua esistenza che rispecchiavano sempre una questione di fondo: ogni evento umano è riconducibile a quelle parole bene augurali. La ridda dei fatti della vita (e Nabil ne mette a fuoco molti), si muove, rimbalza, si svolge, finisce e ricade sui protagonisti in modi sempre diversi, in situazioni dissimili, in divertimento, satira, argute considerazioni e rapporti improbabili, ma tutti con il contrassegno che questi momenti di vita tendono e devono render conto implacabilmente ad un futuro di pace senza il quale gli umani non sono tali ed il destino non ha senso. L’arguzia raffinata, concreta, tenerissima a volte, a volte drammatica sino a costituire un grottesco trapela sempre e talvolta coglie di sorpresa perché ci sorprende in un momento imprevedibile ed è questo il più grande merito di un autore che si rispetti “castigarci divertendo”: saggezza dei latini, quasi inusitata oggi, piacevole, aggressiva in Nabil come un peperoncino piccante, ed, in effetti, sapida, ricercata, a volte aulica, a volte vertiginosa ed inebriante, ma profonda e significativa come la scossa della torpedine del metodo socratico e come il peperoncino, senza il quale il cibo diventa sciocco ed insulso. Maria Elisa Redaelli
“Il sogno”
Bandella 1:
(…) Questo è un libro semplice, un libro forse fin troppo ingenuo nella sua prosa e nei suoi scopi. Ma è un libro pulito, un libro importante. Da far leggere e da discutere. Quando la nostra opinione pubblica sarà in grado di discutere in modo adeguato questi argomenti, avremo fatto un grande passo in avanti. E forse la pace, una pace secondo giustizia, sarà vicina. (Franco Cardini)
Le origini dell’«eterno» conflitto arabo-israeliano – Il ghetto e l’olocausto – La tragedia dei ‘Pellerossa’ della Palestina – Nâser e il nazionalismo arabo – Il Sionismo e la Terra Promessa – 11 settembre – Terrorismo e contro-terrorismo – L’integralismo islamico e quello dei nuovi conservatori americani – Bush, il Sionismo cristiano o spirituale e le guerre del Golfo – Il ruolo delle associazioni segrete – Saddam e Bin Laden – L’Intifâda e i Kamikaze – Cosa succede in Libano – Il Reaganismo e la caduta del Muro – Gli orfani del socialismo reale – Il riformismo, il revisionismo e i voltagabbana – Esiste ancora il Comunismo o sono rimaste solo sigle vuote che vendono merce avariata? – Il nuovo fascismo dal volto umano – L’unipolarismo e l’impero ‘petrolio’ – La vecchia e zoppicante Europa – La Russia imperiale alla riscossa – Il Capitalismo rosso cinese – Il dramma del Terzo e Quarto Mondo – Chi è la nuova proletaria e dove ci porta la riscossa del capitale?!
Argomenti diversi eppur saldamente legati da un unico filo conduttore: il monito dell’autore su un ‘ pericolo incombente ’.
Se tutto ciò non ti interessa e non stimola la tua curiosità, questo libro non è per te… ma puoi ugualmente leggerlo perché “Il sogno” che sta per materializzarsi è un avvincente romanzo nel quale è incastonata la storia documentata. Un’opera che per la prima volta vuol colmare un vuoto a lungo trascurato per rispondere alle esigenze di tutti coloro che, stanchi delle solite storielle prefabbricate, desiderano sapere IL PERCHÉ.
In copertina: Nabil, “Senza Titolo” – tempera su tela – 25 x 35
Bandella 4:
L’autore, nato a Damasco nel 1944, vive in Italia dal 1966, dove esercita la professione medica. È alla sua seconda impresa letteraria.
Il dramma del Medio Oriente, causato dagli errori ed orrori del colonialismo in quella zona, la travagliata recente storia del mondo arabo e particolarmente la tragedia palestinese li ha vissuti in una chiave dominata da tutto quell’ambito che lo circondava.
Dopo anni trascorsi in Occidente, si è ricostruito tutto un concetto più ampio ed analitico del problema, tale da ritrovarsi come un osservatore in una posizione panoramica che gli permette una visione globale e più obiettiva di tutte le vicende del vicino Oriente, tanto da individuare nella tragedia palestinese la gemella o addirittura la figlia del dramma eterno dell’essere ebreo nel mondo attraverso i secoli.
Oggi, dopo più di quarant’anni, si sente investito di una missione dovuta all’essere un ponte naturale, tra concezioni diverse, di un unico doppio dramma; non volendosi sottrarre al compito di trasmettere la sua esperienza, ha tirato fuori carta e penna per buttare giù la sua testimonianza sincera, nuda e cruda, per tentare di interpretare gli Arabi, mai capiti né onestamente interpretati dai mass-media occidentali sia di sinistra e peggio ancora di destra. Nel descrivere quello che batte nel cuore e nella mente dell’uomo arabo medio, ha dovuto scrivere concetti e frasi da lui non sempre condivisi, ma l’onestà del messaggio implica anche questo, altrimenti avrebbe preso in giro se stesso prima del lettore.
Ha inteso inoltre trasferire al mondo arabo e islamico l’essenza del pensiero occidentale e il dramma del popolo ebraico, che non va visto sempre come aguzzino, ma come un’altra vittima dello stesso carnefice.
Il racconto, in diverse parti autobiografico, ambientato durante i drammatici giorni dell’assedio di Jenîn, vuol essere anche una chiave di lettura dell’Arabo nella sua realtà quotidiana: mentalità, costumi e tradizioni, vizi e virtù, perché solo così si può capirlo e rompere il muro di incomunicabilità che è il principale freno al progresso dell’umanità, per consolidare la pace nel mondo in particolare intorno a questo “laghetto” chiamato Mediterraneo.
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Prefazione prof. Franco Cardini:
– PRESENTAZIONE –
Questo è il libro di un artista apprezzato e di un medico molto stimato. È il libro di un uomo schivo, che non ama mettersi in mostra; ma anche di un uomo coraggioso, che non si tira indietro quando si tratta di “esporsi”. È un libro “facile”, perché si tratta di un lavoro spontaneo, scritto senza veri intenti “letterari”; ma difficile, perché è stato pensato e composto in spirito di verità e con una forte intenzione di testimonianza. Personalmente, come cattolico, sono convinto che la Verità ci farà liberi: ma so bene anche che la verità è difficile, che sovente le cose vere, prese una per una, non introducono alla Verità ma anzi ci allontanano da essa; e che può esser perfino pericoloso il voler perseguire la Verità, anche al di là di quel che è in questo o in quel momento, in questo o in quel senso, vero. Sono dunque onorato, ma non felice che mi sia stata chiesta una Presentazione di questo libro, dal momento che la mia esperienza mi dice che esso sarà quasi sicuramente frainteso da molti. Ma so altresì che, chiunque ne fraintenderà il contenuto, lo farà in malafede. Ed è questa la ragione per cui ritengo che presentare queste pagine sia un dovere civico.
Scrivo queste cose in un momento triste. E’ lunedì 3 marzo 2008, e dalla Palestina giungono tragiche notizie. Alcuni missili Qassam sparati dai militanti di Hamas sul territorio israeliano, un morto; la reazione dei mezzi cingolati d’Israele, la “striscia di Gaza” penetrata in profondità, un centinaio di vittime palestinesi – quasi tutti inermi – a fronte di un paio di caduti nelle file dei soldati israeliani; altri sei missili Qassam sparati in giornata, forse un ferito, l’attesa d’una nuova ondata di rappresaglia mentre si aspetta anche l’arrivo del segretario di Stato statunitense, la signora Rice. I telegiornali hanno parlato di “battaglia”: stando alla dinamica di quel che si può capire siano stati gli avvenimenti, pare che si sia trattato piuttosto di un massacro (di battaglia si parla quando c’è uno scontro tra forze che militarmente si equivalgono).
Scrivo nella serata di lunedì 3 marzo, e non so che cosa accadrà quando queste righe saranno già state inviate all’Editore; tanto meno so quale sarà la situazione da qui a qualche mese, se e quando questo libro vedrà la luce. Certo, e comunque sia, le intenzioni del suo Autore sono quelle di un uomo di pace, che vuole e cerca la pace.
Il racconto di Nabil si apre su uno scenario di quelli che ci saremmo augurati di lasciarci per sempre dietro le spalle: il massacro di Jenin nell’aprile del 2002. Parte dal racconto di un sogno: un incipit tradizionale, caro alla letteratura antica e medievale anche per gli scritti a carattere sapienziale e giuridico. Anche la Divina Commedia di Dante prende l’avvìo da una sorta di sogno. I have a dream è divenuto uno slogan politico di straordinaria efficacia, come impegno di buona volontà. L’impianto è semplice, lineare, perfettamente comprensibile e seguibile; meno comprensibili, almeno per noi europei occidentali, possono essere certi snodi nel discorso condotto da un arabo musulmano che abita da anni in Italia, conosce perfettamente la nostra lingua e il nostro modo di ragionare e cerca meritoriamente di spiegarci quello arabo, musulmano ma anche cristiano: specie quello degli arabo-palestinesi, da ormai oltre mezzo secolo prigionieri di una situazione drammatica le origini della quale non sempre riescono a capire, non sempre conoscono a dovere, quasi mai sono in grado di accettare. È in effetti per noi occidentali, che portiamo ben a ragione il peso intollerabilmente gravoso del rimorso per la Shoah, arduo e imbarazzante spiegare alla gente di Palestina che le sue sofferenze dipendono, direttamente e indirettamente, sia dalle lunghe sofferenze sofferte dagli ebrei nei nostri paesi, sia dalla tragedia consumatasi nell’Europa degli anni tra 1933 e 1945; più difficile ancora è per noi lo spiegare, a loro e anche a noi stessi, che quella tragedia affonda in gran parte le sue radici da qualcosa avvenuto proprio nel Vicino Oriente, in quella che usiamo definirla “fertile mezzaluna”, in occasione e in rapporto alla prima guerra mondiale. L’autore parla al riguardo, con un’immagine ricca d’efficacia, di un “Progetto macina-semiti”, volto a mettere arabi ed ebrei gli uni contro gli altri, e vittime del quale sarebbero stati insieme appunto gli arabi e gli ebrei; e rivendica con orgoglio l’affinità “semita” tra gli uni e gli altri, la parentela linguistica di ebraico e di arabo, la somiglianza tra la legge mosaica e quella coranica.
La sua testimonianza è in questo senso preziosa forse per i palestinesi e gli altri arabi, tra i quali molti sono quelli che probabilmente si sono dimenticati o si stanno dimenticando o non hanno mai saputo nulla di queste parentele e di queste affinità. Ma più importante ancora essa è per noi. Abbiamo di recente appreso, e con raccapriccio, come nelle scuole di alcuni paesi arabi e musulmani circolino libri e opuscoli che in qualche modo riciclano la vecchia paccottiglia antisemita della quale noi ci siamo – sia pur con fatica, e a carissimo prezzo – liberati. Una notizia tanto più grave e sconvolgente dal momento in cui, nella tradizione araba e musulmana, non esisteva o quasi alcun background antiebraico sul quale l’antisemitismo potesse impiantarsi. Esisteva è vero, come nel mondo cristiano e in quello ebraico, una letteratura polemico-controversistica: ma essa era relegata in ambienti teologici o giuridici, lontano dalla gente. I musulmani non avevano mai pregato nelle chiese, il Venerdì Santo, pro perfidis Iudaeis; non avevano mai appreso da Martin Lutero che esistesse un foetor Iudaicus; non avevano mai avuto modo di subire i furori antigiudaici del signor di Voltaire. Le voci antiebraiche di matrice islamica messe insieme, nella grande ricerca del Poliakov relativa alla storia dell’antisemitismo, sono molto più esili di quelle di matrice cristiana. La prova di tutto ciò è che certi governi e certi agitatori politici del mondo arabo e musulmani hanno dovuto riciclare vecchi falsi e vecchie infamie, come I protocolli dei savi anziani di Sion: non l’avrebbero mai fatto, né avrebbero avuto bisogno di farlo, se avessero avuto a disposizione una tradizione antisemita autoctona. Ma, purtroppo, la tradizione antiebraica è prevalentemente occidentale, e quella antisemita nasce da una radici pseudostorica e pseudopolitica tutta nostra.
Lasciamo integralmente a Nabil Al-Zein la responsabilità di quanto egli pensa e dice sul sionismo e la sua genesi: dal punto di vista occidentale, noi sappiamo bene fino a che punto la nascita del movimento sionista, che va interpretata nel contesto dei movimenti patriottici del secolo XIX e della “costruzione delle nazioni moderne”, avesse una sua profonda ragione. Le sofferenze e le persecuzioni di cui le comunità ebraiche erano vittime da tempo avrebbero avuto fine, si poteva ragionevolmente pensare alla fine del XIX secolo, quando un “popolo senza terra” si fosse riconosciuto e fosse stato riconosciuto come tale, e fosse stato accettato il suo diritto a una patria, e si fosse individuata magari una “terra senza popolo” in grado di accoglierlo. Fu in questo spirito che nacquero proposte come quelle dell’isola di Zanzibar o della repubblica ebraica nel territorio sovietico del Borobijhan. Quel ch’è importante per noi – da un punto di vista, direi, tanto politico quanto antropologico – è comprendere come ragionano oggi i palestinesi di buone intenzioni, di buona cultura e di buona volontà. Ch’è al tempo stesso la condanna dello sviluppo del movimento sionista così come esso si sarebbe presentato con Israele, ma al tempo stesso la disponibilità all’accoglienza degli ebrei nell’àmbito di un mondo vicino-orientale pacificato e, soprattutto, la distinzione – che non pare ormai troppo chiara nell’opinione pubblica araba – tra ebraismo e sionismo, tra ebrei e sionisti.
Quel che io mi sentirei di ribattere a Nabil è che, nella sua ricostruzione storica dell’inganno che condusse gli arabi a combattere a fianco delle potenze dell’Intesa durante la prima guerra mondiale confidando in una “grande Arabia” che non fu loro mai dato di poter edificare una volta liberatisi dall’impero ottomano, non compare sufficientemente sottolineato che lo stesso movimento sionista venne in realtà ingannato, da quelle stesse potenze, non meno di quanto non lo furono gli arabi. L’importante, per la diplomazia inglese e francese, era distaccare il mondo sionista dalle sue simpatie per la Germania, ovvie anche perché quasi tutti i fondatori del sionismo erano cittadini tedeschi e per giunta sinceramente animati da sentimenti patriottici. La Palestina offerta al mondo sionista come futura national home per gli ebrei non era per nulla una “terra senza popolo”; e quel ch’è avvenuto tra 1918 e oggi, in novanta duri anni, non può non condurre il mondo arabo ad accettare ormai lealmente la realtà dell’esistenza d’Israele. A fronte, senza dubbio, d’un’adeguata politica di definizione dei confini e di risarcimenti economici.
Siamo ancora lontani da tutto ciò. Ma quel che appunto per questo rende tanto più prezioso il romanzo di Nabil – in parte diario semiautobiografico, in parte saggio sulla condizione palestinese, in parte abregé storico sulle vicende recenti e meno recenti del Vicino Oriente (vicende che gli europei, e in particolare gli italiani, si ostinano a ignorare e che evidentemente non si studiano a scuola) – è il fatto che egli ci restituisce “dal vivo” il modo di vivere e di pensare di una famiglia dei territori occupati, una famiglia che tira avanti nelle strettezze e nella paura – e così da ormai sessant’anni – e nella quale possono allignare i peggiori sentimenti nei confronti degli “ebrei”, frutto non di pervicacia estremista, non di fanatismo politico, ma del contraccolpo delle terribile miscela costituita dall’ignoranza, dall’inadeguatezza d’informazione, dalla miseria, dalla paura, dal senso oscuro ma profondo e vivissimo di star subendo un’ingiustizia senza nome accompagnato dall’incapacità di analizzarne adeguatamente le cause e di configurar i modi per uscirne. Ed è questo il campanello d’allarme che Nabil suona con forza, quasi con disperazione: un nuovo antisemitismo, se mai dovesse nascere e prosperare, s’impianterebbe sugli errori, sugli abusi, sulle ingiustizia che si stanno in questo momento commettendo nel Vicino oriente, e che vedono il “nostro Occidente” spettatore spesso impotente, talvolta complice.
Non condivido alcune osservazioni di Nabil. Non sono altrettanto convinto di lui a proposito del peso che, nella situazione locale, avrebbero clubs o lobbies più o meno segreti. Ritengo che sulla strada giusta fosse Yitzhak Rabin, e che per questo sia stato ucciso. Non credo nel “Progetto macina-semiti”, sia perché ritengo antropologicamente e linguisticamente desueto e dépassé il pensare agli ebrei e agli arabi come a “semiti”, sia perché non credo in alcuna “teoria del complotto”. Eppure ha una sua intensità, e non è purtroppo destituito di sostanziale fondamento, il pensiero profondo di Nabil. Nelle scelte di chi ha sostenuto la politica degli Sharon e dei Netaniyahu si annidano i semi della provocazione continua che conduce obiettivamente al sorgere di sempre nuovi impulsi antisionisti, in una direzione che in un deprecabile futuro potrebbe far risorgere nuove forme di antisemitismo. Contro questo pericolo, bisogna vegliare con il massimo rigore. Ma con al consapevolezza profonda che pagine come i massacri di Sabra, di Chatila, di Jenin, dell’assedio di Gaza, sono nelle mani dei veri antisemiti – per fortuna pochi e impotenti, miserabile lunatic fringe dell’Occidente – un’arma peggiore di quanto non sarebbero altri diecimila Mein Kampf.
Questo è un libro semplice, un libro forse fin troppo ingenuo nella sua prosa e nei suoi scopi. Ma è un libro pulito, un libro importante. Da far leggere e da discutere. Quando la nostra opinione pubblica sarà in grado di discutere in modo adeguato questi argomenti, avremo fatto un grande passo in avanti. E forse la pace, una pace secondo giustizia, sarà vicina. Franco Cardini
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MISENA VOCE 1 ottobre 2009
ARCEVIA Nabil Al Zein è un intellettuale che scommette sull’incontro
Dialogo interreligioso
Con il suo bonario e invitante sorriso, lo scrittore ed artista Nabil AI- Zein dà vita e corporeità all’ideale di perenne apertura ideologica. L’intellettuale di origini siriane ha trovato ad Arcevia il crocevia ottimale per veicolare le istanze del dialogo interreligioso e culturale.Ospite fisso dell’Ar[t]cevia International Art Festival (in mostra è la sua installazione “Oil 2”), ha proprio il fisico del ruolo, la naturale amabilità e l’agilità mentale di chi invita l’altro a sorseggiare insieme un tè per uno scambio sereno di opinioni, alla ricerca di ciò che unisce e che porta vantaggio a tutti. Di intransigente Nabil ha solo la volontà di non cedere al nichilismo, allo scetticismo ed al pessimismo di chi troppo ha conosciuto e visto per nutrire ancora speranza intorno alle sorti progressive dell’umanità. Non per nulla, l’ultimo suo lavoro letterario si intitola “Il Sogno”, presentato proprio in anteprima nazionale ad Arcevia in quanto “luogo di incontro e interscambio dei linguaggi artistici contemporanei” (slogan della rassegna). La sofferta storia romanzata focalizza il dramma della Palestina e dell’ “eterno” conflitto arabo-israeliano, “alla ricerca della pace”. “Un libro semplice” per dirla con Franco Cardini “ma un libro pulito, un libro importante. Da far leggere e da discutere. Quando la nostra opinione pubblica sarà in grado di discutere in modo adeguato questi argomenti, avremo fatto un grande passo in avanti.” Il dottor Al -Zein (stimato medico dentista operante sull’asse Tolentino – Civitanova, in Italia dal 1966) ha nell’inverno scorso vissuto una tappa essenziale del proprio itinerario a Capodarco (nella foto), invitato dall’omonima Comunità, che ospita gli handicappati e gli svantaggiati, valorizzandone la pulsante umanità, capace di esprimersi ai massimi “concreti” livelli di professionale, sensibilissima e creativa operatività. In vetta alla Perla dei Monti, Nabil ripercorre volentieri con noi il tragitto di un recente piccolo evento dalle forti potenzialità e dal notevole profilo esemplare. “Nello spirito del dialogo interreligiosotra musulmani e cristiani, con vivo piacere i responsabili della moschea di Macerata hanno ricevuto tramite il prof. Paolo Matcovich, direttore dell’Ufficio diocesano per ’ecumenismo e il dialogo interreligioso, un messaggio di augurio per la fine del digiuno di Ramadan e la festività Iid al-Fitr, inviato da Mons. Carlo Giuliodori, Vescovo di Macerata, Tolentino, Recanati, Cingoli e Treia.” Gli interlocutori islamici hanno accolto con piacere il messaggio: “Gli auguri sono stati sentitamente ricambiati a nome di tutti i musulmani del territorio. Durante la preghiera di Iid al-Fitr sono stati trasmessi gli auguri a tutti i musulmani.” E stato un cordiale e ideale ‘abbraccio’ (termine particolarmente caro al nostro Nabil). Umberto Martinelli
La Voce Misena Senigallia 22 gennaio 2009
Arcevia – La presentazione del libro dello scrittore siriano Al- Zein
Il sogno di Nabil
Ho sognato che la Palestina era libera e pacificata. Arabi Musulmani, Cristiani ed Ebrei godevano gioiosi del paradiso terrestre…” racconta il piccolo Fateh al papà Ayyub, mentre “per un attimo sembra che la terribile musica dei cannoni sia improvvisamente cessata”. E’ l’alba del 4 aprile 2002 a Jenin quando entrano in scena i personaggi di Nabil AI-Zein, autore nato a Damasco e da anni residente in Italia. “Un incipit tradizionale” commenta nella prefazione Franco Cardini “caro alla letteratura antica e medievale anche per gli scritti a carattere sapienziale e giuridico.” I colpi di flash rendono subito stimolante e doverosa la lettura del libro, la cui vernice prende forma in anteprima nazionale ad Arcevia, nello stile schivo dell’autore, che esercita la professione medica ed è ospite dell’ArTcevia International Art Festival, alla sua festosa kermesse di chiusura 2008 ed apertura 2009. I promotori del CGroup ripartono dunque speditamente, in ancora più solida chiave multiculturale e multimediale. L’opera è impegnativa: sofferta storia romanzata intorno al dramma della Palestina e dell’ “eterno” conflitto arabo-israeliano, alla ricerca della pace. E’ “Il Sogno” che Nabil vuole condividere con i lettori, aprendosi per la prima volta proprio ad Arcevia in quanto “luogo di incontro e interscambio dei linguaggi artistici contemporanei” (slogan della rassegna). Al Park Hotel (dopo la puntata al teatro Misa per lo spettacolo “Vorrei dire Buon Natale…”) si focalizza il senso del lavoro editoriale lasciandosi condurre dallo stesso Cardini: “Questo è un libro semplice, un libro forse fin troppo ingenuo nella sua prosa e nei suoi scopi. Ma è un libro pulito, un libro importante. Da far leggere e da discutere. Quando la nostra opinione pubblica sarà in grado di discutere in modo adeguato questi argomenti, avremo fatto un grande passo in avanti. E forse la pace, una pace secondo giustizia, sarà vicina.”
I temi toccati, con l’equilibrio della provocazione, vanno dal ghetto e dall’olocausto alla tragedia dei ‘Pellerossa’ della Palestina, dal Sionismo e dalla Terra Promessa all’11 settembre, dal terrorismo e contro-terrorismo all’integralismo islamico e a quello dei nuovi conservatori americani, da Saddam e Bin Laden agli orfani del socialismo reale, dall’unipolarismo all’impero ‘petrolio’. Argomenti diversi eppur saldamente legati da un unico filo conduttore: il monito dell’autore su un “pericolo incombente”. “Un’opera che per la prima volta vuol colmare un vuoto a lungo trascurato per rispondere alle esigenze di tutti coloro che, stanchi delle solite storielle prefabbricate, desiderano sapere ‘il perché’”. La filigrana è quella della speranza, esteticamente espressa dalla copertina, che riproduce una morbida tempera su tela dello stesso Nabil (anche noto artista), “Senza Titolo”. Ciò che distingue, privilegia e rende credibile Al-Zein è il suo essere contemporaneamente “dentro e fuori”, in virtù della propria storia personale.
“Dopo anni trascorsi in Occidente, si è ricostruito tutto un concetto più ampio ed analitico del problema, tale da ritrovarsi come un osservatore in una posizione panoramica che gli permette una visione globale e più obiettiva di tutte le vicende del vicino Oriente, tanto da individuare nella tragedia palestinese la gemella o addirittura la figlia del dramma eterno dell’essere ebreo nel mondo attraverso i secoli.” “Il Sogno” di Nabil Al-Zein è edito da Atlantide, è stato “pensato e composto in spirito di verità” per sentito “dovere civico” da un “uomo coraggioso” che corre il rischio di “esporsi” e di essere “quasi sicuramente frainteso da molti”. Umberto Martinelli